Biografia
Se fosse nato altrove, magari in America, oggi sarebbe annoverato
tra i guru di quell'élite rivoluzionaria targata "beat generation".
In Francia si parlerebbe di lui come di un impenintente chansonnier.
In Inghilterra, non da meno, per meriti artistici si sarebbe potuto
fregiare dell'ambito titolo di Sir.
Da noi invece, sebbene goda di un'indiscussa popolarità, la sua
figura oscilla tra l'altalenante gradimento di una cultura popolare,
storicamente dissonante e contrapposta: il mito, un Maestro, un poeta,
l'unico. Diversamente: trash, maledetto, eccessivo, inaffidabile.
In realtà, in quanto "sfacciatamente italiano", Franco
Califano appartiene a ciascuna fazione: poeta maledetto, artista scomodo
e, ovviamente, proprio per tutto questo, unico.
Del resto, basterebbe ripercorrere il suo excursus anagrafico per capire
quanto il destino abbia inciso nella formazione del controverso personaggio.
Originario di Pagani, piccolo centro del salernitano, Franco Califano
è nato tra le poltrone di un aereo nel cielo libico.
Era il 14 settembre del 1938.
Benché giovanissimo, animato da un'irrefrenabile irrequietezza,
Franco non perderà tempo ad incarnare gli stilemi comportamentali
di chi sa guardare al futuro con i propri occhi.
Dopo le scuole dell'obbligo, consumate nei cortili di severi collegi
tra guasconate ed appassionati baci, è costretto a frequentare
un corso serale di ragioneria perché, "rapito" dalla
vita notturna, non riesce a svegliarsi presto la mattina! È affascinato
dalla bella vita e dalle donne che, senza pudori, contraccambiano.
Califano, come poi canterà più volte in seguito, ha sempre
amato la notte. E lo dimostra con un invidiabile profitto scolastico.
Una sorta di Dr Jackyll e Mr Hyde: la scuola e la boxe, i compiti e
i locali da ballo. E se l'istruzione gli regala le basi per non cadere
nei tentacoli della manovalanza (siamo nel Sud della rinascita), le
notti di luna smussano desideri ed ambizioni oniriche.
Così, deciso a dare un senso alla sua natura di "uomo contro",
parte per Roma dove si impone nel mondo dei fotoromanzi. Ma non basta.
Sono gli anni della Dolce Vita e via Veneto è un brulicare di
divi e di sinuose bellezze. Federico Fellini inventa i paparazzi ed
inchioda la Roma papalina nel "decadimento" mondaiolo. Califano
ama la musica e canta. La sua fame di novità lo porta a sperimentarsi
con differenti generi musicali: dalle ballate popolari sino agli standard
a stelle e strisce.
E quando una bellissima attrice di quegli anni sta per stringergli "il
cappio intorno al collo", dopo una notte di severa introspezione,
Franco sceglie definitivamente la musica: destinazione Milano.
È giovane ma ha le idee chiare, "la pratica deve vincere
sulla teoria", dunque spazio all'istinto e all'amicizia. Le sue
frequentazioni in ambito artistico lo portano a collaborare con diversi
artisti allora in voga che apprezzano il suo modo di pensare. Scrive
le prime canzoni anche se, pagando lo scotto della gavetta, per diverso
tempo si limiterà a comporre per altri. Alterna la scrittura
alle prime incisioni che in breve tempo arrivano finalmente al grande
pubblico.
Califano piace. Alle donne perché è "maschio",
agli uomini in quanto forte e sicuro di sé: è il perfetto
play boy.
Seguono anni di grandi successi che culminano con un bellissimo "ellepì"
interamente cantato dalla grande Mina.
Così, esaurito un periodo determinante della nostra storia musicale,
il "Califfo" si trova inevitabilmente a dover fare i conti
con l'avvento dei cantautori. Impazza una sorta di anarchia: sono tutti
contro tutto e c'è un Paese intero che non riesce a stare al
passo con un mondo che sta rapidamente voltando pagina. Lui, nonostante
i sofismi che di giorno in giorno vanno a riempire i palinsesti musicali
delle cosiddette "radio libere", riesce a tenere i piedi ben
piantati per terra. L'esperienza di un'infanzia consumata in provincia
ha infatti rodato un carattere temprato da mille difficoltà.
Franco ha capito che preferisce da sempre la qualità alla quantità.
Mentre qualcuno, tra i suoi colleghi, decide di affidare il destino
politico e sociale dell'Italia a una chitarra, lui continua a raccontare
l'amore e gli amici, la vita di tutti i giorni. Soffre l'impennata di
quelli che non esiterà a definire "falsi messia e mistificatori"
e, non senza dolore, prosegue il suo cammino evitando di spersonalizzarsi.
Personaggio "contro" e, per questo condannato a pagare duramente
ogni sua scelta, l'artista assurge alle cronache dei giornali per una
serie di frequentazioni e "costumi" che la società
di allora, pur essendone parte integrante, non tollera. I cronisti,
come api sul miele, si accaniscono. Califano diventa il mostro, il vizioso.
Dopo il rodaggio giovanile del collegio, ora è costretto a patire
anche l'umiliazione del carcere. Una frustata, tra le tante che negli
anni continueranno a susseguirsi, di quelle "che piegano ma non
rompono". Certa stampa che aveva sbattuto il "mostro" in prima pagina piu' tardi tace colpevolmente
sulle assoluzioni del Maestro. Ben due, una con Walter Chiari e l'altra piu' famosa ed infamante con Enzo Tortora:
Assoluzione perche' il fatto non sussiste!
Nonostante lo scandalo ed i soldi mangiati da avvocati e cause costosissime,
come l'araba fenice il Califfo rinasce, si reinventa e, con le unghie
sanguinanti (agli arresti domiciliari, riesce persino ad incidere un
disco trasformando la roulotte in una sala di incisione!), torna a toccare
l'impervia vetta del successo.
I monologhi, alternati a canzoni di grande impatto emotivo, divengono
il suo cavallo di battaglia. La romanità, per alcuni soltanto
un dialetto, grazie a lui diventa una lingua.
Franco è il primo artista moderno capace di nobilitare il romano.
Di lì a poco alcune frasi tratte da sue canzoni divengono veri
e propri slogan, entrando a far parte del lessico quotidiano.
Il pubblico lo adora e la sua fama è trasversale: tocca le corde
di tutti, senza distinzioni sociali o anagrafiche. I media si sbizzariscono
e lui gongola: "il Prévert di Trastevere", "il
Brel romanesco", "il Pasolini della canzone", "il
Belli di quest'epoca", "un personaggio kafkiano".
Basti pensare che il severo testo critico-musicale incentrato sulla
"Storia della Canzone Romana", lo cita quale più grande
Autore vivente per "aver scritto la più bella pagina della
canzone dialettale Romanesca".
Poi c'è la filosofia di Califano, la magia di una frase che titola
e che relega all'eternità una canzone, forse la più "usata"
del suo pur lungo repertorio: "Tutto il resto è noia".
Un testo che, tra filosofia e pragmatismo, è stato oggetto di
discussione in molte aule scolastiche italiane.
E tra i numerosi riconoscimenti che non finiranno mai di arrivare, singolare
quello "ordito" dal Comune di Borbona (Rieti), dove hanno
pensato bene, contro la legge, di fermare sulla targa di marmo: "Piazza
Franco Califano, musicista e poeta". Un caloroso tributo che la
cittadinanza, respingendo l'ordine della Magistratura, ha rifiutato
di rimuovere.
Ma nonostante questo, "il Maestro" non ha ancora avuto tutto
il successo che merita. Perchè l'universo Califano, in quanto
tale, è in gran parte tutto da scoprire. Come spiegare altrimenti
gli entusiasmi della crescente fanzine adolescenziale che lo vede citato
anche tra i miti rappati dalle attuali band hip-hop nostrane? (dagli
Articolo 31 a Frankie Hi-Ngr, dal Piotta a Ligabue con il quale Califano
duetta "Certe notti"), fino alla collaborazione con Federico Zampaglione.
Artista troppo spesso (e volutamente) ascoltato poco e male, e raccontato
anche peggio, il Maestro ha all'attivo oltre venti dischi e qualcosa
come mille canzoni scritte. Che piaccia o meno, egli ha firmato una
moltitudine di emozioni portate al successo da altri: da Mina a Renato
Zero, da Lando Fiorini ai Vianella. Ricordiamo ad esempio "La musica
è finita" e "Una ragione di più" (Ornella
Vanoni); "E la chiamano estate" (Bruno Martino); "Un
grande amore e niente più" (Peppino Di Capri), "Minuetto"
e "La nevicata del '56" (divenuti cavalli di battaglia dell'indimenticata
Mia Martini).
Franco Califano è stato insignito della Laurea Honoris Causa
in Filosofia all'università di New York "per aver scritto
una delle più belle pagine della Canzone Italiana", recita
la motivazione.
Per la cronaca, prima di lui la stessa università aveva assegnato
la Laurea a Edoardo De Filippo e all'ex Presidente della Repubblica
Francesco Cossiga.
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